Le prime testimonianze della presenza di un dolce di questo genere risalgono al XIII secolo, quando nelle campagne del Milanese veniva prodotta una torta di colore giallo impastata con uvetta. La leggenda vuole che il nome derivi da un tale Toni, giovane cuoco delle cucine di Ludovico il Moro (1452-1508), che dovette improvvisare un dolce per un importante banchetto, essendo bruciato quello originalmente previsto.
Con ingredienti raccogliticci Toni ottenne un grande successo, tanto che il suo prodotto avrebbe preso la denominazione di Pan del Toni, poi contratto in “panettone”. Ma non mancano altre ipotesi più o meno fantasiose sull’origine del nome.
Verso la fine dell’Ottocento/inizi del Novecento il panettone era prodotto con una ricetta ormai canonica da alcune rinomate pasticcerie.
I più intraprendenti – e tra i primi vi fu proprio Giuseppe Baj –, incoraggiati dal successo, incominciarono a fare
Giuseppe Baj fu premiato nel 1887 come il migliore produttore di panettoni di Milano.
Il Panettone Baj continuò a essere prodotto negli anni Trenta da alcuni dei figli di Giuseppe, tra cui Alfredo, nonno di Cesare Baj, ma a un livello ben lontano dai fasti del passato, fino a estinguersi verso la fine del decennio, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Dal dopoguerra il dolce milanese poté tornare a offrire momenti di felicità gustativa nelle case di tutto il mondo, ma per rivedere il Panettone Baj si è dovuti giungere al 2016.
Storie di vita in Confetteria. Molti gli aneddoti e le storie di vita legate all’attività di Giuseppe Baj.
A Milano c’era una particolare professione, si potrebbe dire “di sottobosco”, quella del “freguiatt” (da freguia, “briciola” in dialetto milanese), ovvero di colui che procurava
i residui delle lavorazioni dei fornai
e pasticceri e li rivendeva. Si narra che Baj fosse solito dare le sue briciole ai poveri, lasciando senza lavoro i freguiatt.
La Confetteria Baj era frequentata da artisti, musicisti e letterati, che la citarono o descrissero in molte delle loro opere.
Aveva per esempio come cliente fisso il fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, che a Natale spediva ad amici
e collaboratori un Panettone Baj con copie della sua rivista
Poesia, ai giorni nostri oggetti di culto quasi introvabili. Marinetti, nelle sue memorie, parla della volontà di
costruire un «panettone gigante della bontà e della veloce digestione, destinato a fugare la preistorica pastasciutta, di sei metri di diametro e due di altezza».
Storie di vita in Confetteria. Molti gli aneddoti e le storie di vita legate all’attività di Giuseppe Baj.
A Milano c’era una particolare professione, si potrebbe dire “di sottobosco”, quella del “freguiatt” (da freguia, “briciola” in dialetto milanese), ovvero di colui che procurava i residui delle lavorazioni dei fornai e pasticceri e li rivendeva. Si narra che Baj fosse solito dare le sue briciole ai poveri, lasciando senza lavoro i freguiatt.
La Confetteria Baj era frequentata da artisti, musicisti e letterati, che la citarono o descrissero in molte delle loro opere.
Aveva per esempio come cliente fisso il fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, che a Natale spediva ad amici e collaboratori un Panettone Baj con copie della sua rivista
Poesia, ai giorni nostri oggetti di culto quasi introvabili. Marinetti, nelle sue memorie, parla della volontà di costruire un «panettone gigante della bontà e della veloce digestione, destinato a fugare la preistorica pastasciutta, di sei metri di diametro e due di altezza».
Storie di vita in Confetteria. Molti gli aneddoti e le storie di vita legate all’attività di Giuseppe Baj.
A Milano c’era una particolare professione, si potrebbe dire “di sottobosco”, quella del “freguiatt” (da freguia, “briciola” in dialetto milanese), ovvero di colui che procurava
i residui delle lavorazioni dei fornai
e pasticceri e li rivendeva. Si narra che Baj fosse solito dare le sue briciole ai poveri, lasciando senza lavoro i freguiatt.
La Confetteria Baj era frequentata da artisti, musicisti e letterati, che la citarono o descrissero in molte delle loro opere.
Aveva per esempio come cliente fisso il fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, che a Natale spediva ad amici
e collaboratori un Panettone Baj con copie della sua rivista
Poesia, ai giorni nostri oggetti di culto quasi introvabili. Marinetti, nelle sue memorie, parla della volontà di
costruire un «panettone gigante della bontà e della veloce digestione, destinato a fugare la preistorica pastasciutta, di sei metri di diametro e due di altezza».
A oltre un secolo dall’epoca di massimo fulgore del Panettone Baj e dopo svariati decenni di oblio, due diretti pronipoti di Giuseppe Baj, Cesare, hanno sentito un’ancestrale, irresistibile attrazione. Riguardando i cimeli della produzione dolciaria del loro antenato, le belle réclames risalenti a quasi un secolo e mezzo prima, le robuste confezioni per la spedizione postale dell’epoca, le idilliache fotografie che mostrano i frugoletti di Giuseppe e Teresa in mezzo ai panettoni, in pose destinate a reclamizzare i prodotti di famiglia, i due pronipoti hanno sentito una sorta di “richiamo cromosomico” verso questo settore dell’imprenditoria a essi fino a quel momento estraneo.
È così nata l’idea di riavviare una produzione del Panettone Baj in versione “XXI secolo”, che unisse i pregi di una ricetta vecchia di due secoli e mezzo alle più moderne tecniche di produzione.
I Baj hanno riversato nell’impresa l’esperienza maturata in vari settori dell’imprenditoria e in particolare in quello della comunicazione e dei media. Ecco le scelte fondamentali. «Sulla forma non c’è dubbio. Il Panettone Baj deve essere “basso”.
Quanto agli ingredienti, devono essere di qualità eccellente, come quelli naturali usati nei secoli passati».